Nanopatologie: le malattie del XXI secolo
PROFESSIONE
09-03-2006 00:26
Autore: admin
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Un articolo su un tanto problema emergente quanto sconosciuto: le patologie da materiali non degradabili che si accumulano nell'organismo.
Antonietta M. Gatti, S. Montanari*
Laboratorio dei Biomateriali, Dipartimento di Neuroscienze, Università di Modena e ReggioEmilia
*Nanodiagnostics, Modena
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L’argomento non è dei più semplici, e poi, come dicono “quelli che hanno studiato”, non è scritto sui libri. Per quanto riguarda la complessità, vedrò di sfrondare moltissimo e di semplificare per quanto possibile, mentre per il non essere sui libri, posso dire che qualcosa già c’è, e anche di un certo rilievo, e l’argomento sta attirando grande interesse in ambito scientifico.
Alcuni anni fa, lavorando al mio Laboratorio dei Biomateriali dell’Università di Modena e ReggioEmilia, mi accorsi che alcuni frammenti di ceramica micro- e nanometrici (per micro, s’intendono dimensioni intorno ai milionesimi di metro, mentre, per nano, dimensioni di qualche decina o centinaia di miliardesimi di metro) provenienti da una protesi dentaria erano finiti nel fegato e nei reni di un paziente che aveva, per questo, sviluppato delle granulomatosi a carico di quegli organi con una grave compromissione delle loro funzioni. Tolta la protesi e messa in atto una terapia cortisonica appropriata, i sintomi si affievolirono in modo notevolissimo, tanto da risparmiare al paziente il trattamento emodialitico cronico cui pareva inevitabilmente destinato.
Da questo caso concluso felicemente nacque un progetto finanziato dalla Comunità Europea che mi permise, con partner come le università di Magonza e di Cambridge, la FEI, costruttrice di microscopi elettronici, e la Biomatech, azienda di ricerca francese, di allestire una metodica del tutto innovativa di microscopia elettronica e di cominciare una ricerca su malattie di possibile natura infiammatoria definite criptogeniche, vale a dire di origine ignota.
Alcuni anni fa, lavorando al mio Laboratorio dei Biomateriali dell’Università di Modena e ReggioEmilia, mi accorsi che alcuni frammenti di ceramica micro- e nanometrici (per micro, s’intendono dimensioni intorno ai milionesimi di metro, mentre, per nano, dimensioni di qualche decina o centinaia di miliardesimi di metro) provenienti da una protesi dentaria erano finiti nel fegato e nei reni di un paziente che aveva, per questo, sviluppato delle granulomatosi a carico di quegli organi con una grave compromissione delle loro funzioni. Tolta la protesi e messa in atto una terapia cortisonica appropriata, i sintomi si affievolirono in modo notevolissimo, tanto da risparmiare al paziente il trattamento emodialitico cronico cui pareva inevitabilmente destinato.
Da questo caso concluso felicemente nacque un progetto finanziato dalla Comunità Europea che mi permise, con partner come le università di Magonza e di Cambridge, la FEI, costruttrice di microscopi elettronici, e la Biomatech, azienda di ricerca francese, di allestire una metodica del tutto innovativa di microscopia elettronica e di cominciare una ricerca su malattie di possibile natura infiammatoria definite criptogeniche, vale a dire di origine ignota.